Mario
Bencivenni intervista Lorenzo Brusci
Lorenzo Brusci (Montevarchi, Arezzo, 1966) ha avuto
una parte importante nella vicenda della Torre del
Suono di Biel sia come regista della Torre sia come
compositore e ha maturato una importante esperienza
di collaborazione con il Sound city designer della
torre dei suoni Andres Bosshard. Col protagonista di
questa importante ricerca artistica contemporanea vorremmo
capire meglio il significato di questa eccezionale
esperienza.
1. M.B.: Lorenzo, prima di parlare dell'esperienza
della Klangturm, ti chiederei di spiegare sinteticamente
alcuni concetti che sono alla base del tuo percorso
artistico di sound designer che dalla metacomposizione è approdato
alla composizione nonlineare?
1. L.B.: il mio rapporto col suono è segnato
fin dalle origini (1988- 90) dallo scopo di trattare
e organizzare esperienze musicali complesse: mettere
in una relazione organica musicisti improvvisatori
dall’ampia cultura strumentale-compositiva, senza
costringerli nella partitura notazionale; investigare
e offrire ipotesi di relazione a campioni estratti
dalle più varie banche dati musicali del pianeta.
Controllo in studio di produzione, controllo di macro
livello nello svolgimento del concerto. Nel caso dello
studio, le tecniche metacompositive, prima analogiche
e poi digitali, hanno permesso esperimenti sulla coabitazione
strutturale e timbrica di aggregati sonori originariamente
divergenti, appartenenti a culture procedurali ed estetiche
molto lontane. Sul piano performativo Timet ha offerto
fin dalla metà degli anni ’90 soluzioni
di composizione nonlineare (gestione simultanea di
scelte musicali alternative), applicate in tempo reale
e affidate a uno o più conduttori d’esecuzione.
Il conduttore d’esecuzione è un costruttore
di contesti musicali complessi, applica istruzioni
sintetiche (simboli precedentemente codificati) che
lo rendono capace di comporre le esecuzioni dei musicisti
nel loro svolgersi, determinando un ambiente musicale
coerente e complessivamente adattato. Le conduzioni
nonlineari Timet sono state vissute da danzatori, musicisti,
video-artisti e matematici (tra gli altri i musicisti
Ikue Mori e Elliott Sharp; la coreografa Raffaella
Giordano-Sosta Palmizi; l’esperto d’intelligenza
artificiale Paolo Frasconi): questi, usando cues che
simulano punteggiature linguistiche (es. pause, esclamazioni),
chiamate in gioco di parti o dell’intero ensemble,
indicazioni melodiche o di stato formale (es. caos,
ritmicità, pulsazioni), eseguono una partitura
viva in grado di selezionare dinamicamente i comportamenti
musicali dell’organico. Comportamenti musicali
e non prescrizioni sulle note elementari da eseguirsi.
Ciò risponde all’esigenza di gestire velocemente
gruppi di comportamenti elementari senza doverli nominare
direttamente, preferendo “suona coltraniano pensando
armonicamente Chopin” a un’indicazione
scritta, lunga e troppo costringente. Il conduttore è un
contestualizzatore; il musicista è un compositore
elementare dalle grandi risorse d’interpolazione
immediata; il compositore nonlineare è un architetto
dello spazio sonoro, responsabile dell’opera,
quindi della vita relativa di molti contestualizzatori
e compositori possibili.
2. MB.: Una cosa che mi ha veramente colpito della
tua esperienza artistica è il fatto che essa
rimette in discussione alcuni concetti tradizionalmente
accettati sui centri di produzione artistica e di ricerca
e sperimentazione artistica: un'esperienza così innovativa
e creativa come quella che da oltre dieci anni ti vede
protagonista assieme ad altri compagni di viaggio di
progetti e iniziative quali quelle di TIMET, di MATRIX
e della produzione de i DISCHI FORMA, sia nata e si
sia sviluppata a Montevarchi, cioè in un centro
che fino a qualche anno fa era giudicato provincia
e periferia culturale rispetto a Firenze o a altri
centri capoluogo che invece oggi assumono sempre più i
connotati della provincia nella sua accezione negativa
di luoghi in ritardo rispetto al nuovo che si manifesta
o alle nuove tendenze. Come ti spieghi questo fenomeno?
2. L.B.: Ci sono epifenomeni che rappresentano pienamente
svolte epocali, per individui o per gruppi d’individui
che posseggono identiche potenzialità. La cultura
punk come fu vissuta nel Valdarno aretino negli ’80, è stata
il nucleo di un crocevia di comportamenti contrari
da cui noi tutti abbiamo attinto coraggio per l’esperienza
del limite estetico. Una volta innescatasi quella familiarità con
l’esposizione della ricerca musicale, tutto è divenuto
potenzialmente cibo. Siamo stati infaticabili nel creare
la rete dei contatti, l’informazione era un must.
Non posso poi negare l’importanza di Firenze
e delle menti musicali che vi ho incontrato, dal Musicus
Concentus di nuova gestione alle opportunità più underground.
Non credo si tratti ormai più di provincia o
di centro. Tutto ruota attorno ad una percezione radicale
del sé, da cui nasca una disponibilità personale
o gruppale verso le più svariate tecniche di
reperimento di contenuti (dal viaggio alla ricerca
bibliografica e telematica). Molti studenti possono
avere delle buone attitudini, ovunque, ma in pochi
realizzano un progetto di stile, fortemente individuante,
sia come fruitori che come attori. Immagino una didattica
come progetto organico (non fortuito) per il confronto
sistematico con la complessità delle fonti,
di ogni luogo, di ogni tempo. Per creare utenti attivi:
tali si diventa percependo il limite della disponibilità di
conoscenza, operando su di essa con fare centrale,
presuntuoso, vitale, tipologico. Sto offrendo una linea
di lettura del presente postmoderno: recuperare e riarticolare
tutte le prospettive logiche delle pratiche e degli
esiti simbolici, una dimensione iperlocale per sua
natura. Questo è quel che è accaduto
attorno a me e ad alcuni collaboratori. Sta ancora
accadendo, la rete è sempre più fitta.
In molti vengono da fuori per lavorare con noi…ci
sono state anche ragioni economiche, i bassi costi
di produzione, rispetto a Firenze e all’Europa
in generale; le famiglie ci hanno supportato molto,
innegabile. Questa è la provincialità italiana,
descrivibile anche come solidarietà continua…
3. M.B.: Per un sound designer con la tua esperienza
che cosa ha dunque rappresentato la collaborazione
con Andres Bosshard e l'opportunità offerta
dalla Klangturm di Biel?
3. L.B.: Naturalizzare le molte forme dell’elettronica
in un laboratorio aperto, aperto a molti direttori
(una decina), a migliaia di persone che hanno potuto
immergersi in alcune frontiere della musicalità elettroacustica,
osservandoci, reagendo coi sensori microfonici, lasciandosi
guidare in una cinematica dell’ascolto (riduttivamente
un cinema del suono) dal forte valore immaginifico
e narrativo. Questo permettono i sistemi multicanale
di distribuzione del suono : il movimento rende il
simbolo musicale o l’archetipo uditivo (le paure
legate al suono grave e violento o l’ebbrezza
del vortice acuto, spumeggiante) spazio vivo, architettura,
quella speciale architettura immateriale dove la materia
fa un passo indietro a favore della memoria integrale
e della sua capacità estetica. Ho visto persone
imparare ad ascoltare quello che fino a poco prima
era ignoto o incidente acustico. Ho partecipato a visite
di persone disabili: mi hanno raccontato di aver fantasticato
oggettualità mai viste o udite, di aver ricevuto
suggestioni la cui portata cognitiva dovrebbe essere
ripetuta più e più volte per ricevere
una sistematizzazione percettiva e metodologica (disponevamo
di altoparlanti infrabass collegati ai flussi idrogeologici
del lago di Biel; potevamo modulare a frequenze molto
basse -sotto i 30 hertz- suoni amplificati fino a 60-70
db, magari campioni rielaborati estratti dal Don Giovanni
di Mozart: questo è qualcosa che ridiscute la
storia della musica come insieme simbolico e acustico,
portando la cultura del suono nel dominio tattile e
multi-sensoriale).
Andres ha concepito tutto questo, ha accolto i nostri
consigli, li ha ristrutturati. Il risultato è il
frutto di anni d’esperienza nell’istallazione
acustica. Andres Bosshard è un essere molto
gestuale, potrei dire molto primitivo e ad un tempo
pienamente interculturale. Ho imparato molto da lui
sulla permanenza e la gestualità del suono prima
che divenga esperienza rituale. Andres ha pensato che
la natura mistica della torre avrebbe sospeso qualsiasi
memoria. Il risultato è andato al di là.
Mistico ha significato fiducia nell’esperienza
collettiva. In questo c’è molto della
fiducia che il popolo svizzero ripone nello Stato come
stato comune; il resto è davvero il frutto della
scelta dei processamenti tipo e dei movimenti polifonici
(rooting) . Ringrazio Andres di avermi permesso di
comporre per e nella torre. Mistico anche per l’intensa
concentrazione sul suono che decido di espandere, esplorare,
fino alla cancellazione dello suo stesso modo acustico,
attraverso le sue molte saturazioni.
Continueremo a progettare relazioni tra limiti percettivi
del suono, immersività , reti attive di multicomposizione
, database intelligenti, architettura dinamica, analisi
storico-musicale dei siti architettonici. Questi alcuni
dei moduli d’esperienza che il nostro team affronterà nel
prossimo futuro.
4. M.B.: Una cosa che mi ha affascinato nella visita
che ho fatto alla Klangturm è proprio la possibilità che
oggi la tecnologia più avanzata ci offre in
una duplice direzione: quella di creare architetture
dei suoni che possono rendere rarefatte e smaterializzare
anche architetture pesanti come quelle delle torri
del lago di Bienne, e quella di permettere un ritorno
all'elemento naturale mediante una consapevolezza percettiva
senza precedenti per i nostri sensi e forse simile
solo a quella straordinaria esperienza artistica tentata
e sperimentata da artisti manieristi come Bernardo
Buontalenti. Cosa puoi dirci in proposito?
4. L.B.:
Rimaterializzare, quindi offrire prospettive di conoscenza
integrate. Il suono si pone come mediatore dell’invadenza
materiale architettonica. E’ il suo portato
integralmente simbolico e immediato che lo permette
(quando non ci sono speakers a vista e concertisti);
ma ne è complice anche la sempre maggiore
orizzontalità costruttiva implicata dalle
tecniche compositive e distributive del suono digitale
. Specialmente nel mondo del design e dell’architettura
ciò appare praticamente chiaro. Credo che
tra i nostri mondi ci sia molta fratellanza metodologica,
logica e tecnica. Certo che in musica i risultati
dei processi astrattivi sono essi stessi l’oggetto
estetico; in architettura e nel design vi è il
passaggio al progetto esecutivo, sebbene le architetture
e le abitabilità digitali offrano molte applicazioni
professionali e progettuali per se stesse. “Digitalizzazione” ha
significato una diffusione senza uguali delle prassi
di riarticolazione del dato antropomorfo. Chiunque
s’immerga in una percezione fisica oggi, non
la vive col senso di materiale irreveribilità che
poteva essere indotto-assunto non più di trenta
anni anni fa.
Per quanto riguarda il rapporto con la natura della
protesi cognitiva, credo che non si dia tecnica di
artificio che non misuri e dimensioni l’astratto
sul protocollo delle relazioni naturali o precedentemente
naturali. Sostituire il reale, ridurlo, rinnovarlo,
espanderlo, criticarlo e liberarlo da se stesso, sono
pratiche che l’elettronica ripropone in una quantità enorme
perché enorme è il numero delle persone
coinvolte in questa avventura di ridistribuzione della
conoscenza e delle interne funzioni di scelta (civile è la
prospettiva di allargare la base della responsabilità etica
ed estetica che si esprime sulla contemporaneità;
un merito indiscusso della cultura democratica e popular
del secondo novecento). In questo hai pienamente ragione
a sottolineare come dall’intelligenza protesica
rinasca lo sguardo per il naturale eppure già di
altro riferimento. Oltre ogni limite sensoriale è il
dettaglio di un grande simulatore acustico per il maremoto
che ci auguriamo non accadrà, ma che simulato
esiste nell’archetipo di ciascun visitatore;
un manierismo, senz’altro, anche oggi, che incute
il rispetto dell’epoca per ogni collocazione
si ponga centrale, in un sistema di ottiche virtuali
che non esaurisce le fonti ma che offre procedure per
la loro trasfigurazione continua. Insomma il viaggio
logico è senza limiti di direzione, questa è la
lezione più grande che possiamo storicizzare
dal sistema natura. Anche la torre ha attuato un sistema
virtuoso di coesistenze multilogiche, dalle densità acquatiche
al Petrushka di Stravinskji, reso animazioni di colore
cangiante appese alle mani metalliche della Klangturm,
eppur sempre riconoscibile corpo storico. La Torre
ha offerto una grande lezione di ecologia percettiva
e di memoria dinamica, in sostanza di convivenza.
5. M.B.: Ci puoi dire se questa esperienza della Klangturm,
non solo per la sua intensità ma anche per la
sua durata nel tempo, ha prodotto esiti importanti
sulla tua ricerca artistica?
5. L.B.:
Ti offro questo prospettiva:
se prima potevo credere che comporre concerti o dischi
o anche installazioni appartenesse a quel genere di
azioni che non finiscono mai, perché si affidano
all’azione virtuosa del pubblico o dell’esecutore
in interazione –metafore vive-, durante l’esperienza
della Torre del Suono mi è stato chiaro che
solo uno stretto rapporto con l’architettura
e le arti installative potrà liberalizzare la
complessità sedimentata nella cultura musicale
contemporanea (sia questa sintetizzata nel gesto musicale
sofisticato oppure semplificata dalla canzone di tradizione
popular; sia nel caso che si storicizzi in una partitura
di Boulez piuttosto che nei software di gestione del
suono più diffusi e piratati). Che si parli
di diffusione delle musiche e di orizzonti della pratica
musicale che s’interconnettono, a più livelli,
va bene; ma non si può non vedere come abitare
la complessità e renderla funzione espressiva
di modi abitativi stia segnando l’espansione
dell’arte musicale da centro rituale della memoria
privata o gruppale (come il novecento ha dovuto e potuto
radicalizzare), a metodo della località pubblica,
dove se costruisco privatezza, ciò è il
frutto di un’azione individuale non più contraria
e socialmente negativa bensì virtuosa ed ecologica,
ampliamento del vocabolario espressivo, quindi naturalizzata
e radicalmente aperta. Lo spazio architettonico restituisce
i simboli sonori al mondo dell’espressività comune
e alle sue molte funzioni, agli stereotipi della prassi
collettiva come alle pieghe dell’esperienza privata.
In questo il luogo riarticola qualsiasi contenuto,
e le diatribe sul valore in musica scompaiono nel senso
vivo di un corteggiamento ben sonorizzato...
In sostanza, ci vuole più senso pubblico, e
la Torre del Suono è una nuova definizione di
opera estetica pubblica, basti ricordare l’interazione
possibile coi suoi molti sensori (microfoni aperti
sull’esterno o linee telefoniche accessibili
da chiunque, segnali audio poi rielaborati all’interno
della Torre). Vorrei sottolineare la scelta dello stesso
sistema consumer utilizzato per gestire il rooting
e i processamenti software: Nuendo-Steimberg e Plug-Ins
GRM o Waves Mechanics, software e tools casalinghi.
Davvero chiunque potrebbe-potrà dirigerla, dopo
un breve allenamento di sensibilità ambientale:
la torre esiste infatti in quanto macroscopicamente
iper-disponibile.
Ringrazio Lorenzo Brusci per la disponibilità a
illustrare alcuni aspetti della sua attività di
sound designer che a mio avviso costituiscono un apporto
fondamentale ancora oggi troppo trascurato se non addirittura
ignorato nella cultura del progetto di architettura
e di conservazione; invece le architetture dei suoni
come le architetture di luce sono elementi fondamentali
per definire nuovi orizzonti di un mondo che ancora
sta cercando la propria dimensione ecologica.
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