Articolo pubblicato nel
2002 dalla rivista Konsequenz n.7, diretta da Girolamo De Simone. Il
lavoro con Timet nasce da alcune intuizioni sintetiche
della musica: l’esecutore contemporaneo come portatore
di grandi potenzialità compositive; l’improvvisazione
guidata come condizione d’organicità ed espressività contestuali;
l’uso della citazione e della sua trasfigurazione
elettroacustica come fulcro per la diffusione orizzontale
e non specialistica della storia della musica.
Vengo al punto.
La discussione sulla musicalità delle arti del campionamento
o delle tecniche digitali e analogiche della citazione
non può centrarsi sul problema del plagio; quel
torto, subito o paventato dagli autori di linee melodiche “originali” o
da storici arrangiatori d’orchestra per musica digestiva
(immancabilmente scopiazzanti Copland o Mahler), svela
la crisi di una musica che si storicizza nei rapporti economici
di distribuzione/promozione piuttosto che nella consapevolezza
dei cicli produttivi della sintesi musicale, fatta di citazioni,
variazioni e autorevolezze conquistate o subite. E’ ragionevole
immaginare che l’azione di campionare o citare e
ricontestualizzare crei competizione tra il brano “originale” e
il nuovo brano? Niente di più bugiardo se il pezzo
da cui estrai un frammento o una porzione melodica mantiene
la propria compiutezza in un contesto che non è confondibile
con il brano di nuova composizione. Eventualmente, una
volta resa prassi comune il riferimento tra le opere, i
brani si renderebbero reciprocamente raggiungibili, approfondibili
dai rispettivi mondi musicali. Una sorta di mappatura dinamica
della complessità discografica; impossibile negare
il bisogno di rendere la complessità percorribile.
Questo è uno dei punti salienti dell’analisi
postmoderna della musica: la contemporaneità a rischio
di frammentazioni private o di banalità emergenti,
richiede metodi di reperimento, relazionamento e nuova
articolazione delle musiche del pianeta. La musica come
tutti i linguaggi simbolici ha bisogno di scontrarsi e
incontrarsi con la densità e il significato linguistico
dei contenuti informazionali, e non ha bisogno di avvocati
e periti che ne stabiliscano l’integrità “originale”:
questi subentrano quando nugoli di legali rappresentano
discografici e editori che a loro volta rappresentano decine
di autori, imponendo loro la stessa logica di sfruttamento
e profitto del bene intellettuale. Non sarebbe naturale
che ogni artista fosse chiamato ad avere la propria idea
di valore del bene intellettuale e a fare un’analisi
del significato e delle implicazioni che la protezione
del proprio interesse economico–privatistico comporta?
Ma il principio dell’autoralità inattaccabile
e difendibile ad ogni costo non si sfalda fin quando si
persegue un modello sociale dove la differenza tra le opere
simboliche e la rilevanza di alcuni autori su altri sono
utilizzati come fenomeni che preservano la scarsa curiosità conoscitiva
del pubblico, sottovalutando la ricchezza e il naturale
dinamismo sociale che rappresentano. A fronte di orientamenti
massmediali che sovraespongono alcuni artisti, si privilegia
un desueto e patetico starsystem da pre-globalizzazione
(che certamente ne fu motore simbolico), combattendo industrialmente
e legalmente la liberalizzazione e la naturalizzazione
integrale delle pratiche di fruizione e produzione musicali
legate alla cultura digitale, negando l’evidenza
di una nuova prospettiva linguistica ed espressiva, tanto
diffusa quanto spesso inrintracciabile.
Infatti, se da un lato si assiste ad una deriva e a una
moltiplicazione dei contenuti musicali, dovute alle home
production e alle innumerevoli case discografiche nate
sulla scia del basso costo della produzione digitale, dall’altro
l’ambiente musicale riceve più impulsi progressivi
dal mondo del software che dalla produzione di materiali
compositivi. I progetti di liberalizzazione delle sorgenti
di programmazione permettono e permetteranno il libero
svilluppo degli strumenti per la produzione e la distribuzione
di musica; si assiste così ad un fiorire di programmi
di acquisizione e trattamento del suono. Conosco molti
non musicisti che ne usano o ne collezionano di ogni tipo.
Molti di loro contribuiscono al crack di programmi e alla
loro disponibilità; altri al miglioramento del software
stesso.
La stasi produttiva e l’omologazione estetico-dialettica
che i mercati della musica industriale hanno generato nel
mondo della popular music e indirettamente nei processi
di riarticolazione (fortunatamente sempre meno parziali)
della libera ricerca musicale, accademica e non, evidenziano
come l’unica grande
diffusione e innovazione musicologica in atto sia quella
delle metodologie e degli strumenti
di selezione, acquisizione, elaborazione e produzione digitale
di opere musicali. Sta accadendo una radicale distrazione
dai contenuti musicali e un’altrettanto radicale
concetrazione sul significato epocale che la costruzione
dei programmi di gestione digitale del suono e la sua prospettiva
analitica implicano. Artisti dell’interfacciamento
utente-suono intessono codice con lo scopo di offrire abitazioni
naturali per
la personale manipolazione e comunicazione del suono.
La ridondanza di contenuti musicali elettroacustici, discograficamente
indipendenti, indica comunque vivacità intellettuale
e ampia disponibilità all’azione musicale
di alto profilo sintetico, sebbene si applichi per lo più a
categorie logiche di musica funzionale; un teatro colorato
che rimane dietro la lente sfuocata dall’assenza
di interesse economico per la varietà stilistica
delle offerte musicali indipendenti. Ciò è inibente
e non orienta certo la ricerca verso forti identità compositive.
Siamo ormai consapevoli del significato che ha svolgere
analisi macro-musicali (metacompositive) e le conseguenti
manipolazioni acustiche, approntate in una classe di studenti
di media cultura contemporanea, non specialistica, in qualunque
paese occidentale, assumendo solo la prospettiva responsabile
del campionamento e delle categorie procedurali offerte
da molti programmi, piratati (liberati) o freeware, che
la rete mette a disposizione dell’utente. Queste
esperienze di didattica sintetica, per chiunque le abbia
vissute, dai centri sociali ai seminari estemporanei presso
generiche scuole superiori, hanno il chiaro scopo di rendere
naturali il senso e le consapevolezze della composizione,
abbattendo l’enigmaticità metafisica dell’autoralità,
favorendo un principio dinamico, ad un tempo flessibile
e coraggioso: individuare la propria gestualità sonora,
dalla semplice selezione intenzionale di materiali nell’oceano
della produzione discografica del ‘900, alla manipolazione
e il re-editing di materiali preesistenti o appositamente
registrati, fino alla facile produzione di sintesi digitale;
il tutto collocando nella memoria digitale lo sforzo di
contenimento analitico della tradizione musicale. Questo
alleggerimento fisiologico, capace di liberare energie
e risorse costruttive nuove, deve divenire un motore inesauribile
di stile e di nuova comunicazione naturale: la metafora
parlare musica raffigura bene, assieme all’antica
azione artigianale del comporre, l’attitudine sintetica
di molti usi digitali di musica fonografica (nell’accezione
eisenberghiana). Vorrei esprimere al meglio il rischio
che si corre a comprimere o reprimere la vocazione a farsi
linguaggio naturale (formule veloci e pragmatiche) che
caratterizza l’articolazione digitale di musica originale
e preesistente: una regressione del farsi libero collettivo
senza precedenti nella storia delle democrazie occidentali
dalla seconda guerra mondiale a oggi.
Seguiamo e agevoliamo quindi
la ragione strumentale che chiede maggiore diffusione dei
nuovi strumenti per la disponibilità digitale
della musica (con annesse nuove specializzazioni tecniche
e didattiche) –netta epocalità musicale-;
ma poniamo ugualmente attenzione al portato contenutistico
che emerge dall’uso diffuso e naturalizzato dei nuovi
strumenti operativi.
Chiarita così la rilevanza –epocalità-
della pre-condizione tecnologica (strutturale), chiamerei
prospettiva di ecologia musicale la dimensione sintetica
che le nuove tecniche di produzione digitale del suono
permettono di assumere nel comporre relazioni tra elementi
appartenenti a diversi livelli logici musicali (dalla nota
eseguita al frammento di musica registrata).
Ribadisco che non è utile porre in negativo la prassi
dell’uso e del riuso di materiali musicali preesistenti.
Sembra invece fondamentale discutere il significato musicale
ed ecologico delle tecniche di campionamento, delle tecniche
di sintesi e processamento del suono; mentre ugualmente
importante sarà verificare gli auspici di liberalizzazione
formale e sostanziale della musica da esse prodotta. In
sostanza, si offrono lavoro e prospettive applicative che
nessun’altra condizione tecnico-musicale può oggi
offrire (si pensi al possibile impiego in architettura
della memoria fonografica del suono, alla sua spazializzazione –multichanneling-
e alla sua contestualizzazione nonlineare; oppure alle
semplici pratiche di remixing, la capacità che hanno
di rivitalizzare la storia della musica industriale, anche
se ancora sottousate). Ma c’è di più.
Le tecniche di editing digitale offrono l’esplorazione
di dimensioni espressive aperte, non sature, perché capaci
di ospitare nuove esperienze della comunicazione simbolica,
coerenti con la passione e la velocità del tempo
contemporaneo a se stesso. Sospendono la discriminante
verticale della conoscenza tecnico-notazionale, favoriscono
la curiosità e l’uso coraggioso della musica
di ogni tempo; l’interfaccia tra individuo e complessità diviene
così un’attitudine, organizzata su diagrammi
di flusso temporale (timeline), con accesso nonlineare
alle musiche immagazzinate, presupponendo una ricerca per
l’articolazione e la fluidità delle nuove
relazioni intraprese (meta-armonia). Una vivacità intellettuale
quindi di cui abbiamo e avremo bisogno. La
complessità delle
istanze culturali contemporanee può essere agevolata
e multigestita o lasciata gestire da pochi macrofiltri
di distribuzione. A voi la scelta di una via, ma che sia
all’altezza della nostra presunzione democratica.
Eppure tutto questo non basta a porre sullo stesso piano
una prassi storicizzata e le attese di un mondo culturale
di cui esistono solo alcune tracce consistenti.
Personalmente, come operatore, e con me molti collaboratori
e colleghi, abbiamo scelto una via fortemente esemplificativa
del nostro modo di concepire la realtà della musica
nel tempo della sua disponibilità digitale. La nostra
scelta è quella dell’open
source applicata
alle sorgenti delle nostre opere musicali come alle sessioni
di lavoro, considerati come materiali notazionali e come
tali riutilizzabili e reinterpretabili.
La nostra è un’ipotesi di reazione all’interpretazione
restrittiva del diritto d’autore, inteso come cristallizzazione
economica dei processi di sviluppo e scambio d’idee.
Siamo a favore di una liberalizzazione delle sorgenti d’opera
musicale, intese come parti costituenti, porzioni analitiche,
disponibili al trattamento ulteriore, in altro contesto,
per altro scopo, dichiarate e dichiarabili non tanto per
ragioni di simbologia economica ma per una scelta di mappatura
responsabile delle personalità e delle aree di progetto
delle molte forme musicali che costituiscono il bagaglio
intellettuale di un musicista o di un parlante
musica contemporaneo.
Individuare dimensioni del fare
musica capaci di sottrarsi alla logica del mercato non è poi così inimmaginabile,
se si pensa che tutte le musiche, fatta eccezione per la
musica pop, sviluppano logiche di evoluzione e distribuzione
che non hanno niente a che fare con strategie economiche
di produzione e distribuzione di massa. Eppure la dimensione
simbolica del denaro, che l’autore riceve o si aspetta
di ricevere a conferma del proprio operato professionale,
rimane un orizzonte critico che non mi sento di trascurare,
bensì di ristrutturare, in un’ottica che richiama
la prassi scientifica della circolazione delle idee.
Questa seconda parte della riflessione è il frutto
di un’analisi congiunta con Paolo Frasconi, altro
membro del gruppo Timet ed esperto di AI.
Pensiamo che l’autore di un brano in grado di suscitare
interesse, non solo di un fruitore ma anche di un suo peer – compositore
di pari dignità -, desideri qualche tipo di moneta
in cambio della sua opera, nel momento in cui è licenziata
e resa disponibile in qualsiasi supporto. Nel modello economico
che immaginiamo, questa moneta è appunto la
citazione (nelle molte forme concordabili), così come accade
nella letteratura scientifica e come auspichiamo possa
accadere nel mondo della musica libera.
Il problema diventa capire quale moneta possa pagare un
compositore nell’utilizzo di materiali organizzati
o composti da altri, quanto sia elevato il valore attribuito
dai compositori ai loro peers, (quanto gli U2 considerano
i Negativland di loro pari dignità?), e se in realtà non
esista una scala continua e senza interruzioni che va dal
musicista all’ascoltatore, così com’è senza
interruzioni il continuum che parte dal plagio integrale
e arriva alla trasfigurazione ed alla evaporazione-sublimazione
del brano “originale”. Un continuum che nel
campo della musica digitale prelude all’identità di
ascolto e uso: con questo indichiamo una concezione della
contemporaneità musicale che immagina l’autore(manipolatore)-ascoltatore(contestualizzatore)
attivamente dedito alla costruzione di una propria selezione-valutazione-ricomposizione
musicale, piuttosto che distinguersi in autore o fruitore
sulla base del percorso analitico sostenuto sui testi della
tradizione musicale. Ne sono esempi l’esperienza
di composizione che molti, appartenenti a generazioni diverse,
hanno professionalmente o non professionalmente sui loro
pc. L’immagine della composizione d’opera si
fa caleidoscopica e l’apporto collettivo alla costruzione
di quest’architettura musicale pubblica è e
sarà vario e di diversa qualità, ma non dovrebbe
essere in questione la proibizione della similarità o
della serialità con microvariazione piuttosto che
della multiabitazione della stessa località simbolica.
La musica come del resto tutta l’arte del nuovo secolo è chiamata
ad una precisa autoconsapevolezza, quella dell’enorme
quantità di utenti-attori, che hanno vissuto la
popolarizzazione dei linguaggi dell’arte come un
grande interfaccia tra loro e la storia della cultura,
ridisegnando attivamente il tempo e lo spazio necessari
per esserne speciali attori e accurati fruitori.
Un
mondo della musica dove la mia ricerca di autore possa
essere amplificata e quindi
resa rilevante proprio attraverso
la citazione e l’uso che indipendentemente da me
viene fatto del mio lavoro; una sorta di valore tecnico-scientifico
simile a quello cui è sottoposta la pubblicazione
nella scienza, dove l’autore cerca la conferma della
qualità della propria azione, è disponibile
al confronto col proprio mondo – gli altri fabbricatori
scientifici - e riceverà poi risorse finanziarie
per la credibilità e la qualità che il proprio
lavoro ha raggiunto.
Nella musica possiamo ipotizzare alcune modalità di
remunerazione:
- commesse e richieste di supervisione nella selezione
di tracce storicamente rilevanti, mappe della contemporaneità musicale;
- la commessa di composizione di musica nuova, onestamente
-ricercatamente- nuova! In particolare si pensi alle commesse
di musica originale per l’ambientazione (la musica
popular è del resto la più estesa esperienza
d’ambientazione sonora della storia musicale): mi
aspetto che l’architettura assuma definitivamente
la musica al pari della luce quali condizioni imprescindibili
per la genesi di spazi dinamici, permutabili, disponibili
alla ricontestualizzazione e alla multiutenza: attivi suggerimenti
per un’architettura immateriale;
- le commesse per la composizione di elementi primi, una
fornitura d’ingredienti compositivi neo-elementari:
l’esperienza dei compositori di cd di groove ne è un
esempio, si acquista un disco ed automaticamente si ha
il diritto al libero utilizzo di tutto ciò che in
esso è contenuto.
Inserto 1
La complessità della storia del linguaggio musicale
come la quantità della produzione discografica da
Edison a oggi, inducono una specifica coscienza della prassi
musicale di fine millennio: la realtà della musica
contemporanea esige (come condizione naturale, motivata
da ragioni di sociologia della produzione e della fruizione)
l’uso di porzioni di brano alla stregua di elementi
per la composizione, al pari delle note e delle esecuzioni
strumentali tradizionali. In questo scenario sembra necessario
che i prodotti dell’industria discografica appartengano
al pubblico dominio, se non in termini assoluti, quanto
meno una volta fuori dell’ambiente ipotizzato dall’autore
originale. Pubblico dominio è il preludio per il
valore stesso, implicito, dell’oggetto in diffusione.
Valore d’uso, d’assimilazione, inevitabile
in quanto una qualche genialità di un’opera è ritenuta
ideale contributo al processo creativo di altri compositori.
La difficoltà tecnica della distinzione quantitativa
tra plagio e decontestualità ci porta ad auspicare
l’accettazione diffusa del cambiamento di paradigma,
sia sul piano dell’azione compositiva che su quello
della tutela giuridica. Ad esso devono evidentemente essere
associate forme alternative di definizione e distribuzione
di ricchezza. Gli scenari immaginati nell’inserto
1 sono solo un esempio.
Siamo di fronte ad una vasta stasi del mercato della musica
popular per la sua lenta permeabilità ai risultati
della ricerca (o per l’assenza di una ricerca attiva
e riconosciuta al suo interno). Nonostante questo, esso
occupa e occuperà ancora a lungo uno spazio enorme
nella spartizione della torta economica del pianeta musica.
Se la ricchezza è per accezione finita e concentrata,
e lo è, la soluzione distributiva, in ordine di
sopravvivenza e incentivo all’evoluzione linguistica, è il
centro di qualsiasi indirizzo politico delle arti. Qualsiasi
ipostatizzazione per ragioni di monopolio stilistico e
distributivo è un sintomo di regresso civile ed
epistemologico. Riproporre continuamente il confronto dialettico
tra le musiche più decorative e quelle a tendenza
maggiormente cognitiva porta solo ad acuire la stasi della
cultura musicale diffusa; mentre la scelta tra le due dimensioni
dovrebbe essere un’oscillazione di carattere vitale,
almeno quanto un edificio piacevole per l’intrattenimento è diverso
e alternatamente necessario rispetto ad un luogo dedicato
al culto, e in entrambi i casi il riferimento all’architetto
non è rilevante per la fruizione dell’ambiente,
sebbene ne sia una pre-condizione strutturale. Pre-condizione
sta ad indicare la consapevolezza costruttiva di un luogo
abitativo simbolico. L’etica abitativa definisce
così la scienza del costruire e dell’abitare
questi molteplici spazi simbolici.
Le leggi restrittive del diritto d’autore agevolano
quindi una stasi nella vitalità dei sistemi popular
di produzione musicale ma anche nella varietà della
cultura abitativa della musica: si privilegiano le riedizioni,
le ristampe e le resurrezioni di artisti, creando un mercato
sospeso, apatico, senza risposte alle esigenze espressive
che si accompagnano alla trasformazione stessa dell’esperienza
musicale. Ecco la stasi creativa all’interno dei
mercati della popular music, dove i nuovi autori non sono
stimolati né supportati, così resi incapaci
d’essere autorevoli (in qualsiasi nuovo senso) perché privati
dell’amplificazione svolta dalla grande promozione
industriale. La cultura musicale sembra oggi incapace di
rappresentare e dinamicizzare le tensioni sociali costitutive
della globalizzazione delle culture: le tensioni, se illuminate,
esposte e simbolizzate, garantiscono l’abitazione
dinamica e democratica dei linguaggi dell’arte come
di quelli della vita.
In termini giuridici unici
attori diretti degli esiti legislativi del diritto d’autore sono stati e continuano ad essere
l’industria discografica e gli editori (un esempio
per tutta, l’intima relazione tra i desiderata espressi
dalla RIAA – che raggruppa gli interessi delle 5
grandi major mondiali, Sony, Emi, etc.. - ed il DMCA – Digital
Millennium Copyright Act -. Vedi l’inserto 2 per
le implicazioni in ambito non strettamente artistico.
Il
26 Aprile, Ed Felten (professore alla Princeton University)
ed i suoi co-autori, ritirano l’articolo "Reading
Between the Lines: Lessons from the SDMI Challenge",
dal quarto workshop internazionale su “Information
Hiding”. La loro decisione è il risultato
delle minacce fatte agli autori, ai membri del comitato
di programma e a tutti i loro datori di lavoro dalla
Recording Industry Association of America (RIAA) e dalla
Secure Digital Music Initiative (SDMI). La base delle
minacce sta nel Digital Millennium Copyright Act (DMCA),
legge in vigore negli USA dal 1998 che criminalizza tecnologie
e dispositivi che possano servire ad aggirare misure
tecnologiche usate per proteggere lavori coperti dal
diritto d’autore (la stessa legge che fece arrestare
Dmitri Sklyarov per la violazione del sistema di protezione
della Adobe). Sin dal 1998 numerosi esperti di sicurezza
informatica continuano ad esprimere preoccupazioni sulle
implicazioni restrittive di tale legge. Felten e gli
altri hanno adesso citato la RIAA e la SDMI in tribunale;
se dovessero perdere la causa, lo scenario futuro della
ricerca scientifica sulla sicurezza e sui sistemi di
criptografia digitale potrebbe rivelarsi denso di enormi
problemi legali e potrebbe essere necessario assumere
avvocati per filtrare gli articoli scientifici prima
della loro pubblicazione per garantire che non siano
in violazione delle norme anticirconvenzionali del DMCA.
La Association for Computing Machinery (ACM) ha depositato
presso la corte del New Jersey una dichiarazione a sostegno
della libertà di ricerca e di divulgazione dei
relativi risultati.
Inserto 2
N.B. 1
Il problema del plagio sussiste in condizioni di grande
ridondanza espressiva e di scarsa ecologia del sistema
musica; nel mondo della musica creativa, dalla colta al
rock freeform, non si è mai udito di cause per plagio,
semmai di debiti e tributi, più o meno esplicitati;
l’artista impegnato in un’operazione dal vasto
significato compositivo è consapevole della fugacità della
materia autorale: i debiti affollano la mente sensibile
dell’autore ispirato.
N.B. 2
L’arte del campionamento è concepita come
arte del riferimento, ma auspichiamo un’etica diffusa
della prassi di campionamento che si delinei su due piani:
a) l’esplicitazione delle sorgenti di riferimento,
con le naturali implicazioni analitiche e didattiche;
b) la qualità e la rilevanza dell’azione manipolante:
dove l’impegno è davvero nuova genesi, oltre
la referenza evidente.
N.B. 3
L’offerta di materiale sorgente che Timet attuerà culminerà nell’offerta
di composizione assistita in rete: partiture nonlineari
dovranno preludere a specifici comportamenti di upload
con specifici tempi di fruizione collettiva.
N.B. 4
Gli utenti dei paesi poveri avrebbero la possibilità di
acquisire software e contenuti originali ai costi esorbitanti
a cui sono venduti in occidente, senza le attività di
pirateria (liberazione) cui sono soggeti in rete?
N.B. 5
All’orizzonte appaiono i presunti padroni del DNA.
N.B. 6
La musica classica sta morendo di ripetizione di esecuzioni
perfette, all’interno dello stesso paradigma interpretativo.
Ciò è il frutto di un grande lavoro di
montaggio digitale: tutti lo sanno, nessuno lo dichiara.
La musica classica esiste nella sua autoconsapevolezza
perfetta solo grazie alle mani dei tecnici di montaggio
nonlineare. Rivitalizziamola trasfigurandola, in ogni
modo utile, accettando la posizione favorevole alla perfezione
digitale come punto di partenza per una sua integrale
ricontestualizzazione.
N.B. 7
Campionate musica contemporanea di tradizione colta, ha
un’alta capacità di convivenza con strutture
ritmico-simmetirche e armonicamente semplici.
Timet – Lorenzo Brusci, Paolo Frasconi
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