Che
cosa trova un giovane musicista oggi in Nietzsche?
Che cosa scopre?
posso essere brutale? N. ha voluto un futuro di emancipazione
integrale dell’individuo come volontà storica
e metastorica centrale. In questo tempo di atroce uniformità culturale
di massa la mia reazione compositiva è stata
radicalmente contraria: favorire lo stile basato su
un’ampia consapevolezza informativa, esemplificando
l’eccesso divergente propugnato da ciascun attore
della scena sociale come principio virtuoso. Questo è il
senso estetico della crisi globale, attorno a noi non
c’è abbastanza senso della terra, della
differenza naturale, quella ecologica che permette
la fertilità del sistema vita; vorrei che le
arti fossero più capaci di rappresentare la
complessità delle vite invece di schiacciarsi
su modelli macroscopici, cattive metafisiche del valore
immaginario, ossia i modelli distributivi di massa,
le campagne di comunicazione, le loro inondazioni di
retorica del successo, vere prigioni della libertà collettiva,
che non garantiscono l’accesso, vero principio
democratico applicabile a qualsiasi categoria della
coesistenza nel presente storico. Per il presente intellettuale
o simbolico c’è tempo, ci pensa l’idea
stessa di posterità…
Il cancro produttivo è reale, produzione e consumo
nella loro epica liberista mettono a dura prova la
logica multipla della differenziazione vitale. E nessuno
si preoccupa poi tanto, allora io affronto l’estremo
e ve lo offro, come ragione individuale che vive la
più ampia ragione sociale, che vogliate-possiate
udire oppure no; si parla d’informazione, non
di cibo o di ricchezza, ma di altro cibo e altra ricchezza.
Che miopia il sistema industriale popular, è così difficile
immaginare che l’ampiezza delle scelte e delle
offerte estetiche liberi automaticamente un’intensa
collettiva dinamicità sociale? L’occasione
attraverso Nietzsche si è rivelata una radicalità senza
uguali, e una prospettiva senza compromessi dell’uomo
contrario, una strada verso l’uomo di nuova sintesi,
antecedente multiculturale ed ermeneutico da cui non
si può prescindere. Certo la ragione di Nietzsche è l’uomo
del futuro, inaugurando l’orizzonte prioritario
del XX secolo; con Nietzsche l'umano si schiaccia violentemente,
dialetticamente direi, sul proprio futuro, inaugurando
l'autocomprensione dinamica, progressiva, lineare,
della modernità. Io e molti compositori elettronici
con me, in quanto compositori digitali, proveniamo
più festosamente dal sentimento della postmodernità,
dove il "nuovo" non è altro che la
geheliana "routine", nel circolo virtuoso
della memoria collettiva: la sospensione del senso
del futuro come ragione progressiva, a favore di una
ragione auto-riflessiva, contemporanea, riarticolante,
nonlineare, che predilige contenuti reversibili, non
violenti, fatti di una categoricità diffusa,
con molti centri attivi, nelle decisioni, nelle passioni,
nei valori, nelle scritture come nelle riscritture,
o nelle ricontestualizzazioni. Ma abbiamo appreso alla
(s)veglia dell’illuminazione nietzschiana il
senso della storia colpevole e virtuosa, offerta linguistica
costante eppure riscrittura, movimento e redenzione
filosofica.
Le tecniche per la disponibilità integrale
del passato, reso istanza del continuo, abbattono la
contrapposizione col passato; ecco quindi che interrogare
Nietzsche significa guardare dentro una genealogia
critica del nostro presente dalla storicità sospesa.
Ho avuto bisogno di vedere dove la tecnica incontra
l'"uomo nuovo" neitzschiano, ed esattamente
lì si trova la differenza positiva tra Heidegger-Adorno
e il pensiero di Benjamin, vero conforto per chiunque
si aggiri dalle parti della tecnologia critica, militante.
Esiste un'etica della composizione e degli accessi
nonlineari all'informazione, nel tempo della sua "storicizzazione
continua", etica che ormai è un senso denso
del presente, costruttivamente responsabile, capace
di trasformare in relazioni critico-estetiche la postmodernità.
Tutto è permutabile, iperdisponibile, ma in
questo stato fluido e multilogico è necessario
interrogarsi sui metodi della referenza alle sorgenti
dei nostri "liberi trattamenti", il rapporto
coi modelli di comunicazione popolare, con l'industria
discografica, col senso espansivo dei comportamenti
in rete, dove finalmente la musica sembra rientrare
nel proprio essere musica collettiva oltre le etichettte
e i clichet di mercato. Il mio lavoro si è posto
da sempre come "contemporaneità consapevole",
istanza etica dunque, dove intessere connessioni inesplorate
e rendere reversibile il rapporto del simbolo-campione,
manipolato, con la sua sorgente storicizzata, erano
doveri doveri etici, estetici e metodologici. Vedi
Paolo, sto parlando dell'arte del campionamento, nella
condizione di disponibilità illimitata di suoni
e materiali, stato che suscita molte analogie materiali:
si tratta di immaginare forti azioni di ristrutturazione
dei materiali musicali che la storia discografica e
notazionale mettono a disposizione del compositore;
e allo stesso tempo essere consapevoli che ciò che
manipoiamo e ricontestualizziamo appartiene a uno stato
originario, che se resta disponibile e interrogabile
può offrire molteplici occasioni di riapplicazione
e modificazione. In altre parole tenere aperti e mai
lineari, mono-definiti, i materiali che si predispongono
quanto quelli che si sono interpellati per fornire
porzioni e modelli di "ricomposizione".
Perchè all'interno della vasta produzione del filosofo
tedesco hai scelto Zarathustra? C'è una musicalità in Nietzche,
nei suoi
scritti. Recentemente sono stati musicati alcuni suoi incerti appunti
musicali. E' un aspetto che avete tenuto presente nella stesura del disco?
musicalità e senso profondo della sorpresa,
della deviazione dal senso comune, anche degli usi
linguistici più naturali. Il lavoro è principalmente
in italiano, si basa sull'edizione Colli-Montinari, è stata
una scelta di coerenza, la mia conoscenza del tedesco
avrebbe impedito un'appropriazione intensa del fraseggio
come della singola parola. Le presenze in tedesco sono
sempre presenze di un giovane uomo, in un falsetto
intenso (il compositore Stefano Roeslmair); le voci
in italiano di Andrea de Luca e Alessandro Fiori svolgono
il ruolo di cantori principali, legati al senso lirico
della costruzione testuale: hanno due storie molte
diverse, l’uno, Andrea, è un cantante
di tradizione lirica ed un raffinato attore-regista
teatrale; l’altro, Alessandro, ha una formazione
da musicista classico ma è poi un cantante di
musica popolare, con il gruppo dei Mariposa; Monica
Demuru è anch’essa una cantante attrice,
in questo lavoro Timet ha compiuto in voce due spunti
critici, quello della castità e quello dedicato
alla negazione dei sogni, provocatoriamente entrambi
affidati ad un a voce femminile molto alterata, una
provocazione anche all’accezione niezscheiana
della donna, sempre troppo passionevole e fatalistica.
Che cosa succede al testo? Diviene una salmodia, un
percorso fatto di forti passioni espressive, ma sempre
un’intensità interna, che esce con difficoltà,
come non si potesse udire o vedere; mi sembrava importante
lasciar trapelare il pudore di Nietzsche, che usa la
scrittura, isolato, non amato, osteggiato, escluso;
l’esclusione è una partitura umana che
ha guidato molto le mie scelte; senza dimenticare che
il rapporto con la classicità musicale è stato
una guida nella raffigurazione della realtà simulata,
dove possa avvenire l’incontro e lo scontro tra
il passato della morale e la presunzione assiologica
della parabola zarathustriana.
Intimo, eppure radicale grazie al confronto originario
coi mondi della memoria della classicità logica
e morale. Le voci così rilevanti e fortemente
salmodiche mi hanno potuto affidare quell’unico
clima postsacrale che integralmente irrompe nella metafisica
occidentale facendo sintesi, e non semplicemente memoria
negativa.
Per Timet la classicità è un impegno
della memoria. La ricchezza dei musicisti di oggi e
domani non è data dal successo ma dalla capacità che
avranno di rendere viva la musica come fenomeno collettivo
e totale. Qualsiasi restrizione li renderà delle
meteore nelle mani di qualche coglione economo-legale
di turno.
Parliamo di composizione
digitale: il tuo approccio è non
lineare, reticolare, fortemente rivolto al sampling.
Hai recentemente tenuto a battesimo il tuo sito dove,
passando dalla teoria alla prassi, incoraggi la composizione
collettiva, il mixing creativo e il continuo utilizzo-mutazione-riscrittura
della fonte sonora. Ce ne vuoi parlare?
Aprire l’autoralità è da sempre
un punto centrale della mia/nostra ricerca compositiva,
assieme ad un rapporto col suono segnato fin dalle
origini (1988- 90) dallo scopo di trattare e organizzare
esperienze musicali complesse: mettere in una relazione
organica musicisti improvvisatori dall’ampia
cultura strumentale-compositiva, senza costringerli
nella partitura notazionale; investigare e offrire
ipotesi di relazione a campioni estratti dalle più varie
banche dati musicali del pianeta. Controllo in studio
di produzione, controllo di macro livello nello svolgimento
del concerto. Nel caso dello studio, le tecniche
metacompositive, prima analogiche e poi digitali,
hanno permesso esperimenti sulla coabitazione strutturale
e timbrica di aggregati sonori originariamente divergenti,
appartenenti a culture procedurali ed estetiche molto
lontane. Sul piano performativo Timet ha offerto
fin dalla metà degli anni ’90 soluzioni
di composizione nonlineare (gestione simultanea di
scelte musicali alternative), applicate in tempo
reale e affidate a uno o più conduttori d’esecuzione.
Il conduttore d’esecuzione è un costruttore
di contesti musicali complessi, applica istruzioni
sintetiche (simboli precedentemente codificati) che
lo rendono capace di comporre le esecuzioni dei musicisti
nel loro svolgersi, determinando un ambiente musicale
coerente e complessivamente adattato. Le conduzioni
nonlineari Timet sono state vissute da danzatori,
musicisti, video-artisti e matematici (tra gli altri
i musicisti Ikue Mori e Elliott Sharp; la coreografa
Raffaella Giordano-Sosta Palmizi; l’esperto
d’intelligenza artificiale Paolo Frasconi):
questi, usando cues che simulano punteggiature linguistiche
(es. pause, esclamazioni), chiamate in gioco di parti
o dell’intero ensemble, indicazioni melodiche
o di stato formale (es. caos, ritmicità, pulsazioni),
eseguono una partitura viva in grado di selezionare
dinamicamente i comportamenti musicali dell’organico.
Comportamenti musicali e non prescrizioni sulle note
elementari da eseguirsi. Ciò risponde all’esigenza
di gestire velocemente gruppi di comportamenti elementari
senza doverli nominare direttamente, preferendo “suona
coltraniano pensando armonicamente Chopin” a
un’indicazione scritta, lunga e troppo costringente.
Il conduttore è un contestualizzatore; il
musicista è un compositore elementare dalle
grandi risorse d’interpolazione immediata;
il compositore nonlineare è un architetto
dello spazio sonoro, responsabile dell’opera,
quindi della vita relativa di molti contestualizzatori
e compositori possibili.
Torno alla tua domanda. Immagina tutta questa esperienza
resa traccia operativa per una utenza non specialistica.
Potrò suggerire ai partecipanti del nostro
sito che si effettuino per un periodo determinato
UPLOAD di materiali specifici (le istruzioni possono
essere lette anche da non musicisti: caos vocale,
melodicità sintetiche, piogge monotimbriche,
stacchi metallici, etc…); fornendo un mixer
rudimentale si permetterà di interagire con
i materiali già disponibili e di archiviare
un possibile esito compositivo, nonché di
fare DOWNLOAD di sorgenti presenti sul data base.
Le tecniche di ricerca sul database sono ancora oggetto
di riflessione, ma dopo l’esperienza all’interno
del team di RADIOTOPIA, ARS ELECTRONICA 2002, l’orizzonte
operativo è più chiaro e ambizioso.
Abbiamo inoltre intenzione di pubblicare presto CDs
di campioni “funzionali” prodotti Timet,
ad alto valore di ricerca timbrica: con l’acquisto
del cd si ha la liberatoria per qualsiasi utilizzo,
si chiede in cambio solo la citazione dei costruttori
elementari... Mentre in rete tutte le sorgenti disponibili
saranno gratuite. In quel caso l’obiettivo è la
comunità dei compositori, intesi a qualsiasi
livello logico di manipolazione ed utilizzo. Ecco
il punto di svolta, la nostra ricerca è un’esperienza
che consapevolmente introduce, indirizza verso (missione
socio-linguistica naturale dell’arte) un utilizzo
non specialistico, diffuso, coraggioso, individuato
della molteplicità e complessità tecnico-culturale
della storia musicale (missione-intenzione politica
della nostra azione estetica). Complessità=ricchezza,
la sua distribuzione è intento che definisco
pre-condizione di qualsiasi ipotesi di vitalità libera,
in qualsiasi dominio esperienziale. Solo l’uso
radicale permette una distribuzione capillare e l’aggiramento
delle ridicole leggi sul diritto d’autore (per
il punto di vista Timet sul diritto d’autore
si veda l’articolo uscito per il numero speciale
della rivista KonSequenz, n.7, firmato da Lorenzo
Brusci e Paolo Frasconi). Favorire l’uso ampio,
incondizionato, spregiudicato della cultura, storicizzata
o semplificata che sia, è l’unica chance
didattica che la ragione strumentale mette a disposizione
della ragione morale. L’arte del campionamento
ne è un esempio epocale.
Internet, le pratiche
di web-art, la stessa composizione collettiva on-line,
testimoniano di un mondo artistico,
non solo musicale, in profonda evoluzione. Nascono
le comunità artistiche digitali e la stessa
figura d'artista - come autore - è in declino
e viene implicitamente ri-definita dall'agire contemporaneo
(o forse verrà soppressa...). Nel tempo della
Tecnica Digitale, che cosa è arte e, in ultima
analisi, musica?
Tento una definizione fisio-linguistica di arte: tutto
ciò che appartiene alla sfera della simbolicità innesca
una forte tensione tra appartenenza, il riconoscimento
e la scoperta, la dinamicità cognitiva. Ricevo
suggestioni e mi emoziono per la capacità che
un simbolo sonoro ha di raggrumare la mia storia,
le mie ragioni, le mie intimità, quindi di
riesprimerle. Ricevo stimoli a riarticolare e ristrutturare
la mia storia culturale nel momento in cui un simbolo
si offre come taglio luminoso su un’altra realtà,
frutto d’impensate, insondate relazioni (appunto
metafore)… In questo senso l’arte mi
appare come una funzione del linguaggio, lo espande,
lo integra di nuove possibilità rappresentative;
dove il linguaggio va, la vita collettiva andrà,
e spesso quella “solitudine” estetica
che già è stata, ha aperto una strada,
ha segnato una via, comunque ha reso disponibili
visuali e strumenti della rappresentazione che poi
la vita tutta potrà quotidianizzare. Che tu
gestisca stati simbolici digitali o acustico-tradizionali,
sempre come artista ti trovi ad osservare la veloce
saturazione espressiva degli elementi linguistici
che utilizzi. Questa rapidità di deperimento,
di noia, di putrefazione degli elementi avvicinano
l’arte alla morte, ad una particolare assunzione
del senso epicamente vitale che il ruolo dell’artista
svolgendosi incarna. Vivere e provocare la decadenza
dei simboli, degli stili, dei modi, ti mette nella
condizione di dire della sospensione e della riarticolazione
delle tradizioni; ma anche di arrischiare nuove forme
vitali quando ancora tutti sono alla festa della
vita, la precedente memoria diffusa, popolare. Che
compito ingrato, eppure inebriante. In questo sento
che essere esteticamente responsabili significhi
parlare di complessità e di ecologia, intendendo
rispettare tutta la ricerca e tutte le storicità,
sempre e comunque, perché da entrambe vengono
nutrizioni linguistiche continue; e non perché ci
sia uno sviluppo, ma perché nell’espansione
e nella riassunzione continua dei modi e dei mondi,
e nella loro ampia accessibilità è il
carattere di civiltà che il secondo novecento
ha vissuto come robusto sogno irreversibile.
Come eravamo soliti firmare: per un mondo di simboli
continui, dove tutto viva, e tutto sia percorribile
e ripercorribile, e poi molto di più, creabile
e distruggibile, senza che niente muoia mai, davvero.
Questa è la grande sfida dell’arte digitale,
incarnando il senso dell’arte di ogni tempo,
ma con in più un senso coraggioso del contenimento
della virtualità storica, radicale, entusiasmante,
applicato quindi ad una contemporaneità che
fa del museo immaginario globale il luogo dell’immersività simbolica
attiva. Ne risulta un abitare l’identità e
la diversità, la propria molteplicità,
con fare fluido; assumere la molteplice identità della
mente, liberata e fatta istituzione amorevole, non è forse
questa la lezione più alta che ci possa venire
dalla tecnologia estetica?
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